kr Il Coordinamento Nazionale dei lavoratori ATA/ITP ex Enti Locali sono qui per raccontarvi una delle più incredibili vicende giuridico – sindacali della storia Repubblicana: se pensavate, con i corollari della cosiddetta “Riforma Gelmini” d’aver visto tutto, in cinque minuti vi ricrederete.

Questa ingiustizia è stata creata da chi ci ha governato in questi anni con la concertazione di tutti i Sindacati creando una disparità di trattamento ed una sottoretribuzione rispetto ai colleghi assunti dello Stato.

La vicenda parte addirittura nel 1970: miracolo economico, FIAT 600 e, proprio nel 1970, nascono le Regioni – previste dalla Costituzione Repubblicana ma mai attuate – ed il governo, retto da Mariano Rumor, organizza le prime elezioni regionali.

Subito dopo, nasce (o, meglio, s’aggrava) il problema delle competenze dei nuovi enti, che vengono ridistribuite dall’alto (Stato) o dal basso (Province).

Le Province si trovano con un grave deficit di competenze, che potrebbe condurre alla loro sparizione, ed ecco l’Uovo di Colombo: il personale non docente (ATA) delle scuole superiori (solo dei Licei Scientifici e degli Istituti Tecnici non Industriali) passa alla dipendenza delle Province.

Nel tempo, il personale scolastico provinciale giunge ad essere circa un terzo sul totale dei dipendenti provinciali: come si può notare, il problema delle Province – oggi così di moda – ha illustri ed antichi precedenti.

La prima “grana” giunge dopo pochi anni: le Province assumevano per le scuola anche personale di 6° e, addirittura, di 7° livello definendoli “Assistenti Tecnici” (poi Assistenti di Cattedra) e Insegnanti Tecnico Pratici, con orario settimanale di 36 ore e privi di partecipazione ai vari organi collegiali.

La causa, partita da Savona, poi al TAR, infine al Consiglio di Stato, terminò con la vittoria dei ricorrenti che ebbero – al pari dei colleghi degli ITIS – il riconoscimento del ruolo docente: le scuole, però – altra incongruenza fra le tante – non previdero mai i necessari posti nell’organico di diritto.

Verso la fine degli anni ’90, soprattutto con il “Decreto Bassanini”, inizia il percorso dell’Autonomia Scolastica ed è evidente che non può esistere, in scuole “autonome”, personale proveniente da varie amministrazioni.

Con la legge 124 del 1999 si giunge, infine, all’atteso “passaggio” (una necessità dell’Amministrazione – si rammenta – non richiesta dai lavoratori):

art. 8, comma 2…omissis…a detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto.

Insomma, la legge sembra chiara ma, le vicissitudini del governo di centro sinistra – Prodi, poi D’Alema, infine Amato – conducono al “pasticcio” sindacale del 2000,

poiché il relatore della legge 124 si è “dimenticato” di segnalare che gli stipendi nello Stato sono un po’ più alti:

art 3 comma 1: Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31-12-1999…omissis…

In sintesi, il concetto della legge 124/99 viene ribaltato: non è più l’anzianità di servizio a determinare lo stipendio, ma l’ultimo stipendio percepito in Provincia a determinare l’anzianità, ai fini stipendiali, nello Stato! Cosicché, persone con 20 anni d’anzianità si vedono “retrocesse” a 2. Va bene che gli zeri non contano, ma…( Il tutto, quindi, è stato causato da un semplice “accordo sindacale” (Cgil-Cisl-Uil e SNALS firmavano un ‘accordo con l’Aran che, stravolgendo la ratio della L. 124/1999)

Infatti, se nessuno avesse siglato accordi, il personale menzionato sarebbe stato trasferito (come sempre avvenuto nei casi di trasferimento d’Azienda) attraverso il meccanismo dell’art. 2112 c.c., cioè in modo normale e con ogni diritto maturato)

Contro tale obbrobrio, da subito ci siamo attivati legalmente e migliaia di ricorsi sono stati presentati ai Giudici del Lavoro – la nuova normativa li ha sottratti ai TAR – che sentenziano, in larga parte, a favore dei lavoratori.

La vicenda continua negli Appelli e, infine, approda in Cassazione. La Corte di Cassazione, dopo approfondita analisi, conclude che la legge 124 è preminente rispetto all’accordo del 2000 (peraltro, definito “provvisorio” anche dagli estensori) e dunque sentenzia, in modo univoco ed erga omnes, che i lavoratori hanno ragione.

Tutto a posto?

Colpo di scena.

Per non dover metter mano al portafogli, il Governo Berlusconi, a fine 2005, inserisce nella finanziaria per il 2006 il comma 218:Il comma 2 dell’articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il personale…è inquadrato…sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999…E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge.

Insomma, si torna a riproporre l’accordo del 2000, già ignorato dalla Cassazione ma con una postilla non da poco: si tratta di una “interpretazione autentica”, ossia il Governo pretende di dare una nuova “interpretazione” ad una norma di 6 anni prima! E la non retroattività delle norme?

Spassoso, poi, il finale: chi ha già una sentenza definitiva, è fuori. “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scurdammoc’e ‘o passato, salutamm’e paisà”.

Il nostro grande Cavaliere ci ha abituati a questo ed altro.

Partono i ricorsi alla Corte Costituzionale, l’evidenza del vulnus giuridico appare lampante, ma…qui c’è il gran “buco nero” di ben due sentenze della Corte Costituzionale sfavorevoli ai lavoratori (n°234 del 2007 e n°311 del 2009). Le motivazioni delle sentenze – le firme di mandato per l’Avvocatura dello Stato, è bene ricordarlo, sono una di Berlusconi e l’altra di Prodi – sono più fumose della nebbia in Valpadana.

A pensar male, alcuni giudici della Corte Costituzionale andavano a cena dal Caimano…ma la questione pare fermarsi qui. Qualcuno, pensa: in Europa, cos’avranno da dire? Eh, ne hanno.

Partono i ricorsi alla magistratura Europea – è bene ricordarlo, nel quasi silenzio nazionale: oramai tutti danno il personale ex Enti Locali per spacciato, il mondo finisce con la Corte Costituzionale – e, ironia della sorte, i magistrati europei (con ben due sentenze, Agrati e Scattolon) danno ragione ai lavoratori sentenziando, in breve, che la cosiddetta “interpretazione autentica” del Cavaliere era un semplice escamotage per non dover cacciar soldi.

D’altro canto, abbiamo conosciuto bene personaggi come la Gelmini e Brunetta.

Infatti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo(Cedu-Sentenza Agrati-Milano ) lo scorso 7 giugno, ha sentenziato che l’applicazione retroattiva della legge di interpretazione autentica, pur legittima in linea di principio,contrasta con l’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che garantisce il diritto a un processo equo,tale articolo dice chiaramente (l’art. 6 della Convenzione non consente allo Stato, di emanare leggi “interpretative – retroattive” per ottenere delle sentenze favorevoli nei processi in cui l’amministrazione statale sia parte in causa.

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha infatti affermato che questo comportamento degli Stati viola il principio dell’equo processo e della parità delle armi nel processo: proprio come è successo al personale ATA ex EE.LL.) condannando l’italia a liquidare con un milione e ottocento mila euro 124 colleghi.(Sentenza della CEDU sull’equa soddisfazione (AGRATI e altri).

La neutralizzazione dei ricorsi attuata con la finanziaria era, infatti, intervenuta dopo il verdetto favorevole dei tribunali di primo e secondo grado, i quali avevano stabilito il diritto alle differenze retributive che spettavano ai lavoratori transitati nelle scuole, creando così l’aspettativa di ottenere le somme che sarebbero andate a costituire un bene tutelato dalla Convenzione.

Scettici i giudici di Strasburgo anche sul vero scopo della manovra,che, a loro avviso, non era quello di colmare la lacuna legislativa per evitare una disparità di trattamento tra impiegati, ma era in realtà quello di salvaguardare l’interesse finanziario dello Stato minacciato dai ricorsi pendenti.

Tre mesi dopo – il 6 settembre 2011 – è giunta un’altra sentenza (Scattolon Venezia avvocato Zampieri)favorevole per gli Ata e Itp ex enti locali.

Stavolta è la Corte di Giustizia Europea (LUSSEMBURGO)che stigmatizza il peggioramento delle condizioni retributive dei lavoratori trasferiti.

La tutela nel caso è assicurata dalla direttiva 77/187/

CEE del 14/02/1977 varata per impedire che i dipendenti coinvolti in un trasferimento d’azienda (così la Corte di giustizia considera il passaggio dagli enti locali allo Stato) “siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento”.

Detto questo, la Corte di Giustizia invita il giudice italiano a verificare se questo é avvenuto quando la legge finanziaria 2006, interpretando la legge 124/1999, ha considerato applicabile, dalla data del trasferimento, il Ccnl scuola, senza tuttavia assicurare ai lavoratori un trattamento retributivo corrispondente all’anzianità lavorativa maturata presso il “cedente”.

Come si vede, lo stato italiano è stato pesantemente bastonato dalle due sentenze di ambito europeo e, poiché le sentenze sono vincolanti per gli Stati, l’esecutivo dovrà trovare in brevissimo tempo una soluzione.

Ci sono voluti i pronunciamenti della corte europea dei diritti dell’uomo e della corte di giustizia dell’Unione Europea ma alla fine, sembra, che la questione degli ATA e ITP si stia avviando verso una conclusione positiva.

Per conseguenza delle sentenze europee, la Corte di Cassazione comincia di nuovo a sentenziare a favore dei lavoratori, poiché ritiene preminente la giurisprudenza europea su quella nazionale.

Infatti il 12.10.2011 e il 9.11.2011 sono state depositate le sentenze n. 20980 – n. 23344/2011 della Corte di Cassazione con le quale vengono recepiti i principi stabiliti dalle corti europee e si dà indicazioni ai tribunali di 1° e 2 ° di tenere conto di questi principi nel formulare le sentenze riguardanti i ricorsi degli ATA ed ITP ex dipendenti degli enti locali, transitati a forza tra i dipendenti statali, senza che fosse loro riconosciuta l’anzianità di servizio pregressa.

Adesso, cosa succederà?

Ci sembra, a questo punto, che tutto il parlamento debbano prendersi carico della situazione ma non più a parole o a semplici ordini del giorno come quello approvato alla camera

(Nella Finanziaria per il 2008 Legge 24 dicembre 2007 all’art. 3 comma 147, si preveda che, in sede di rinnovo contrattuale, sia “… esaminata anche la posizione giuridico-economica del personale ausiliario, tecnico e amministrativo trasferito dagli enti locali allo Stato in attuazione della legge 3 maggio 1999, n. 124.”) oppure Approvazione della risoluzione n. 8-00196 del 25 luglio 2012 rimasta nei cassetti del governo Monti dopo averla recepita.

E’ chiaro che, dopo tanta confusione, è necessario un intervento chiarificatore: il quale, però, non può prescindere dal riconoscere che – al termine del contenzioso giuridico – i lavoratori hanno visto riconosciuti i loro diritti.

Sono dunque necessari due interventi: uno di natura giuridica e l’altro di natura economica.

Giurisprudenza

Dopo le sentenze europee, è assolutamente prioritario che il tristemente famoso comma 218 della Finanziaria 2005 sia abolito e, per contrappasso, sia inserita nella normativa italiana un articolo di legge che confermi la ricezione della giurisprudenza europea, ossia che i lavoratori hanno diritto al riconoscimento dell’anzianità per intero, senza ulteriori trucchi.

Interventi economici

Dopo il comma 218, la situazione dei lavoratori ex EELL ha visto materializzarsi più situazioni, distinte secondo la maturazione dei percorsi giuridici, dal trascorrere del tempo e dalle nuove interpretazioni fornite dalla giurisprudenza europea: c’è chi ha una sentenza, positiva o negativa, passata in giudicato, chi è nell’attesa d’ulteriori gradi di giudizio, chi è andato in pensione con i trattamenti più disparati.

Insomma, una Torre di Babele.

Senza un intervento politico – seguendo solo la via giudiziaria – negli anni a venire matureranno una serie di sentenze, poi di ricorsi, fino alla cancellazione delle sentenze avverse, poiché la magistratura europea sentenzia erga omnes e senza ulteriori appelli

Le situazioni più scabrose – da sanare subito – sono quelle dei lavoratori che avevano vinto in un grado di giudizio, s’erano visti riconoscere lo stipendio aggiornato e gli arretrati e poi – a causa del famigerato comma 218, oggi considerato un pateracchio giuridico in Europa – si sono visti richiedere indietro quei fondi: ci sono persone che sono state costrette ad ipotecare la casa, oppure andate in pensione con poche centinaia di euro il mese.

Il primo intervento, quindi, deve bloccare le restituzioni e restituire – al più presto – quei fondi ai lavoratori.

Subito dopo, sanare le incongruenze previdenziali derivanti dalla sciagurata vicenda.

Subito dopo, bisognerà intervenire per aggiornare alle nuove interpretazioni giuridiche gli stipendi e, infine, provvedere a sanare il passato, ossia calcolare e pagare ai lavoratori gli arretrati compresi gli interessi giuridici dovuti.

Siamo coscienti che le attuali condizioni economiche non sono certo le migliori ma ricordiamo anche che – in tempi di “vacche grasse” – invece di sistemare le questioni si preferì inventarsi arzigogoli giuridici come il “comma 218”.

Perciò, se si tratterà di definire un percorso per mettere fine al problema siamo disponibili senza, però, dimenticare che noi, semplici lavoratori, “disponibili” (e pazienti) lo siamo dal 1999.

Nel contempo visto lo scarso impegno della politica continuano i ricorsi

LINK:

AI LAVORATORI ATA-ITP EELL : RICORSI

“RIPARTONO I RICORSI ATA-ITP EX ENTI LOCALI”

Un ringraziamento particolare vanno ai nostri Avvocati cito per tutti l’avvocato Sullam di Milano e l’avvocato Zampieri di Venezia e alla decisione di parecchi lavoratori di difendersi fino in fondo

Crema 24/05/2018

per approfondire l’argomento consigliamo di leggere:

https://comitatonazionaleataitpexentilocali.wordpress.com/2012/02/21/12-anni-dopo-una-vita-fa-tutta-la-vicenda-del-trasferimento-del-personale-amministrativo-tecnico-ausiliario-e-itp-alle-dipendenze-degli-enti-locali/

La II Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo nella recentissima sentenza del 14 gennaio 2014 nella causa “Montalto e a. v. Italy” sul ricorso n.38180/08 (più altri 16 ricorsi riuniti), ancora una volta intervenendo sulla norma interpretativa retroattiva dell’art.1, comma 218, della legge finanziaria n.266/2005 dopo la sentenza Agrati della Corte di Strasburgo del 7 giugno 2011.Con la sentenza Montalto la Cedu ha rafforzato quanto già enunciato nella sentenza Agrati sulla violazione dell’art.6 della Convenzione, rigettando tutti gli argomenti del Governo italiano.

Secondo la Corte europea non vi era alcuna necessità di una norma interpretativa che andasse a ridurre il contenzioso, che anzi è stato alimentato, non vi erano ragioni imperiose di carattere generale per giustificare a distanza di oltre cinque anni la modifica dell’art.8 della legge n.124/1999 che riconosceva la piena anzianità di servizio e professionale al personale ata transeunte, perché non vi era alcun vide juridique, nessun vuoto normativo da colmare, ma solo gli interessi “egoistici” dello Stato (e dell’Avvocatura erariale) da tutelare.

Il testo in italiano è frutto di una prima traduzione non ufficiale

(dunque con possibili refusi)

CEDU-Sentenza-del-14-gennaio-2014

ORIGINALE:

Qui la sentenza CEDU del 14 gennaio 2014, affaire Montalto e altri v. Italia IN FRANCESE

https://comitatonazionaleataitpexentilocali.wordpress.com/2014/02/06/ata-itp-ee-ll-la-sentenza-montalto-della-cedu-n-3818008/

Commento dell’Avv. Nicola Zampieri alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che conferma il diritto per il personale ATA trasferito nei ruoli del Miur al computo dell’anzianità di servizio maturata nel comparto degli Enti Locali.

L’Avv. Zampieri sottolinea che la sentenza della Corte Edu cicero e altri del 30 gennaio 2020 consente quindi non solo di impugnare entro il termine di 6 mesi le eventuali sentenze della Cassazione che non recepissero la posizione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ma anche di agire direttamente nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, onde ottenere il risarcimento dei danni per violazione dei principi comunitari della certezza del diritto, della tutela dell’affidamento, della indipendenza del Giudice e della parità delle armi, consacrati nell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea.

Vedi link

https://wp.me/p16ISq-24t